L'Etichetta: la Migliore Bussola per ogni Wine Lover

11 Maggio 2020
normative

Curiosando all’interno del nostro blog avrete forse notato la presenza nel menu principale di una categoria apparentemente molto tecnica e, per questo, ben poco accattivante: il nostro obiettivo non sarà tuttavia quello di raccontare nei dettagli l’apparato normativo che regge e disciplina il nostro lavoro, bensì rendere i suoi punti fondamentali il più possibile chiari - quindi utili - per i nostri lettori.

Parleremo quindi di denominazioni, disciplinari di produzione, normative fondamentali in materia di viticoltura e vinificazione, e ogni altra informazione che - direttamente o indirettamente - possiamo trarre dall’etichetta di un vino. Ogni parola, ogni simbolo riportato su quella che potremmo definire la vera e propria carta di identità di ogni bottiglia ha una fortissima valenza e può suggerirci molte più informazioni di quante, ad una prima occhiata, potremmo cogliere: dal suo territorio di provenienza alla composizione dell’uvaggio, dalle tecniche di produzione alle tempistiche di affinamento.

Proviamo ad immaginare la situazione in cui ci troviamo a dover scegliere un vino senza poterlo effettivamente vedere, facendo affidamento solo a pochi indizi. Potrebbe sembrare una circostanza alquanto bizzarra, ma non altro ciò che accade molto spesso a tutti noi quando esaminiamo la carta dei vini di un ristarante, o ascoltiamo le proposte del giorno di un wine bar.

Solitamente le nostre possibili opzioni vengono suddivise nelle classiche macro-categorie bollicine, bianchi e rossi, talvolta completate da indicazioni geografiche (nazione o regione di produzione) e sotto-categorie (fermo o frizzante), ma questo raramente è sufficiente per identificare quale vino possa davvero soddisfare il nostro gusto.

Ecco dunque che una buona dimestichezza in materia di denominazioni e normative può fornirci un utile strumento per orientarci.

Leggendo Franciacorta D.O.C.G., per esempio, non solo capiamo di trovarci di fronte a un vino spumante: ne conosciamo la precisa provenienza geografica (l’omonimo territorio in provincia di Brescia, in Lombardia), sappiamo che è stato prodotto con uve Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco (in purezza o assemblate, ma certamente non altre, e con un apporto di Pinot Bianco, in ogni caso, mai superiore al 50%) e soprattutto abbiamo la certezza di scegliere uno spumante metodo classico (rifermentato in bottiglia, come lo Champagne) e quindi caratterizzato dagli specifici sentori fragranti di lievito di quella specifica categoria.

Allo stesso modo la denominazione Barolo D.O.C.G. ci garantisce che quel vino è stato sottoposto a un invecchiamento minimo di 38 mesi (di cui almeno 18 in botte di legno) che salgono a 62 se compare la menzione “Riserva”. Ottima scelta, dunque, se siamo in cerca di un vino strutturato, dal profilo aromatico complesso con spiccate note terziarie, ma probabilmente non altrettanto adatto se desideriamo un vino leggero, fresco e più incentrato su aromi fruttati e floreali.

Avremo inoltre modo di analizzare la relazione che sussiste tra la denominazione e la qualità di un vino, di inquadrare questioni che spesso causano tanto dibattito quanta confusione tra i consumatori (uno per tutti: i solfiti), ma anche di affrontare tutte le tematiche - sempre più attuali - legate alle certificazioni aggiuntive (biologico, biodinamico, vegan, etc.) e alla loro valenza agli occhi del consumatore: cosa significano concretamente? quali garanzie offrono?

Speriamo anche su questo argomento di aver stuzzicato la vostra curiosità, invogliandovi a seguirci in questo percorso alla scoperta di un aspetto del mondo del vino talvolta un po’ trascurato - forse perché assai poco poetico - ma assolutamente utile per sviluppare la nostra consapevolezza da degustatori, ma prima di tutto da consumatori.

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